TRANSITION: A PRIVATE MATTER

Maggio 2010, VYŠEHRADSKÁ 26, PRAGA (CZ)

Andy Boot, Sergio Breviario, Anetta Mona Chişa, T-Yong Chung, Jiří Černický, Ermanno Cristini, Tomáš Džadoň, Emilio Fantin, Casaluce/Geiger-synusi@, Franco Hüller, Eva Koťátková, Dominik Lang, Daniela Manzolli, Eugenio Percossi, Marco Raparelli, Luca Scarabelli, Annalisa Sonzogni, Lucia Tkáčová, Anna Maria Tina, Martin Zet

Foto: Annalisa Sonzogni

Web: SIMPLY.IT

A cura di Katia Baraldi, Alessandro Castiglioni 

Al centro del progetto Roaming vi è la costante necessità di una auto-negazione. L’opera e l’immagine, la permanenza e la fugacità, la presenza e l’assenza. Così in più di due anni di lavoro e oltre dieci mostre realizzate, un asse di continua e sistematica falsificazione ha contraddistinto la ricerca. Questa dicotomia è una sorta di metodo analitico che ha permesso a Roaming di sviluppare determinate questioni di ordine estetico e fenomenologico, inerenti la natura dell’opera d’arte in sé e il rapporto con la sua diffusione mediale e culturale.

E’ all’interno di questa cornice che si inserisce il progetto Transition: a private matter, proposto per la città di Praga e, in particolare, per uno spazio, ancora differentemente connotato, in cui andare ad operare. Di fatti la mostra prende luogo all’interno di un edificio non ancora abitato, un cantiere appena concluso: un luogo ibrido, privo di un’identità specifica, e dunque aperto a qualsiasi possibile significazione. Questa è risultata dunque l’occasione migliore per proporre un nuovo spunto, ancora basato su una contraddizione, connesso con l’idea di prendere casa (questa sarà la destinazione dell’edificio, una serie di appartamenti) appropriarsi di un luogo e definirne l’identità, ma per un arco di tempo effimero ed irrilevante.

La questione che così viene posta al centro del dibattito tra curatori, artisti e pubblico, tra ricezione, mediazione e produzione di senso, e dunque di arte, è la dimensione dell’identità. Intesa come privato che si fa pubblico, come racconto personale e segreto le cui tracce sono lasciate all’interpretazione di chi le trova o le sa leggere, di una dinamica collettiva (un dispositivo) in grado di stimolare un confronto attorno al concetto di limite, di presenza e assenza.

Ci muoviamo in questo modo verso un certo spaesamento, un’ambiguità, propria della pornografia del privato, capace di riflettere su ciò che è possibile (fisicamente e, in modo metaforico, culturalmente) vedere, ponendo criticamente questioni legate all’intimità e l’identità.

Andy Boot lavora  sul concetto di  paesaggio, un termine ampio in cui ricade ogni tipo di spazio: sia fisico che virtuale. Il rapporto con lo spazio è fondamentale per Boot, che lo misura, lo prova, lo sperimenta, analizzando il rapporto che noi abbiamo con esso. Cercando legami  tra  differenti spazi, tra i luoghi e le persone. Le sue opere, sempre site spefic, nascono con l’intento di dare uno strumento di  comprensione  dello spazio.  In occasione di Roaming,  Boot ha studiato una serie di installazioni per l’attico di via Vyšehradská 26 trasfigurandolo. In 5 foot 1  ha realizzato un tunnel trasparente, da iconografia “spaziale”,  creando nello spettatore l’impressione di entrare in un luogo altro, come se fosse il collegamento con un’altra dimensione. Poco importa se si conosce il riferimento video-musicale dell’operazione: il video per l’omonima canzone di Iggie Pop, ora visibile su You Tube; un altro spazio, un altro paesaggio con cui Andy Boot ci connette a nostra insaputa.

In fondo al corridoio – tunnel  si intravede un’altra installazione, Collection (one), creata appositamente per la breve durata dell’evento, volutamente transitoria, “in-between”,  costruita con i materiali di scarto del precedente cantiere dell’edificio. Un oggetto tra l’azione e il funzionale, sempre in bilico tra ciò che potrebbe essere e ciò che non è. Come le opere collocate nell’ultima stanza, Dachgeschoss (one - two), appunto "soffitta" in tedesco, attico, in cui dei collage su carta propongono una riflessione sulla pittura e sulla definizione del concetto  di spazio abitativo.


In collaborazione con Giuseppe Buffoli

Ha il respiro della magia d’artista l’intervento di Breviario concepito insieme ad un altro artista: Giuseppe Buffoli. Comuni sacchi neri della spazzatura aperti e disposti a parete a formare composizioni geometriche ad angolo retto sostenuti solo dalla propria elettrostaticità.  Nella loro fragile sospensione, l’elettrostaticità dura poche ore. Erano impegnati a reggere, inseriti nelle loro intersezioni, i disegni a penna di Buffoli. Questi raffigurano delicate composizioni scultoree di oggetti in equilibrio precario, come le definisce lo stesso Buffoli. Disegni destinati a cadere a terra rovinosamente insieme ai sacchi di Breviario che gli fanno da supporto. Una precarietà sostenuta da un’altra precarietà, una magia dadaista e come dice lo stesso Breviario: “Tzara ne sarebbe contento”.


Il titolo della performance del duo Chisa e Tkáčová all’apparenza è una chiamata  alla responsabilità e all’agire,. La frase: ”Chi se non noi ? Quando se non ora?” è uno slogan eversivo di molti politici e rivoluzionari del passato. Chiuse in un appartamento le due artiste con la maniglia della porta hanno trasmesso in codice morse questa esortazione all’esterno. La frase, a causa del mezzo linguistico utilizzato, è risultata incomprensibile alla maggior parte dei visitatori.  Ascoltatori stupiti davanti alla porta chiusa e a un rumore giudicato privo di senso.

Come la porta con la sua maniglia mette in comunicazione il privato e il pubblico,I vari linguaggi sono nati per rendere possibili i rapporti tra le persone, ma con questo lavoro Chisa e Tkacova ci svelano il paradosso della comunicazione.

Impossibilitati a decodificare un messaggio, ai più intelligibile, siamo costretti a riflettere sull’arbitrarietà e ambiguità che la comunicazione porta in sé.


L’artista coreano per Roaming propone il video I fantastici 4 in cui quattro operai dell’azienda Lago S.p.A. mostrano, in una pausa del loro lavoro in fabbrica, quali erano i loro giochi preferiti da bambini. Azioni e saperi ripetuti con gioia da bambini e sbalorditivi per i coetanei come il saper parlare in “codice f”, ancora incomprensibile per i più, o fare composizioni in carta, ma inutili nella loro vita attuale di adulti. La vita di oggi è posta irrimediabilmente in contrapposizione con la quotidianità di ieri.


Per Roaming-Transition  Jiri Cernicky mette in crisi l’idea del focolare domestico come luogo di sicurezza. La sua installazione è all’apparenza molto minimale, è composta da un tavolino, elegantemente preparato, su cui poggia una tazzina piena di caffè espresso in attesa del suo bevitore. Se questa visione prospetta un momento di calma e di relax per il suo fruitore questa tranquillità viene interrotta impercettibilmente, ma in maniera decisa, dal tremare, a brevi intervalli,  della tazzina e del suo contenuto. Un cambiamento non desiderabile, inaspettato, un oggetto quotidiano che si anima improvvisamente e mostruosamente facendo temere di non essere al sicuro.


In questa tappa di Roaming Ermanno Cristini lavora sulla sottrazione e sulle pause, e agendo sugli angoli  delle stanze marca un momento di sospensione, intervalli dello spazio e del tempo. In queste pause dell’edificio l’artista ha sistemato piccoli oggetti, gli Off-Cell, delle casette, create con materiali della nostra quotidianità: sapone, un cartone da cui è stata intagliata la sagoma di una casa, lo scheletro di una casa in filo di ferro, giocando sull’assenza dell’oggetto rappresentato.  Un’assenza con una forte tensione quando ci viene presentato  l’unico oggetto messo a parete:  una foto-testimonianza di una Off-Cell, allestita  a Berlino, foto in cui si sfida lo spettatore a cercare l’opera, quasi invisibile. O un assenza che corre sul filo dell’ironia che si presenta a noi con la esatta metratura, segnata con lo scotch, del divano di studio dell’artista: un ingombro non  ingombrante ripreso anche da palline di scotch all’angolo della stessa stanza.

 

Anche in questa tappa è presente una farfalla, simbolo ormai dell’intera operazione di Roaming, dalla vita breve come l’evento stesso. Posta, in questo caso, su un interstizio di una delle scale che collegavano i piani del palazzo, a collegare idealmente i vari interventi con gli altri eventi di Roaming.


Tomáš Džadoň, artista di origine slovacche ma da tempo attivo a Praga, ha presentato per Transition un’installazione olfattiva. Un incensorio costruito con vecchie pentole che invece di spargere profumo di incenso diffonde nell’ambiente, neutro di odori, il fragrante aroma di un bacon casalingo. Un tentativo di recupero delle origini e allo stesso tempo di addolcire uno spazio vuoto e asettico. L’odore del bacon forte e insistente ha impregnato gli ambienti dell’appartamento dedicato all’artista donandogli una  vivida atmosfera domestica e di vissuto reale.


Performance con la collaborazione di Martin Zet

Per Roaming Emilio Fantin ha predisposto una performance dal titolo Affinché I nostri cuori siano sempre più grandi.

La performance ha vuole ricordare un esperimento a doppio cieco eseguito da medici statunitensi su alcuni pazienti cardiopatici chiedendo a degli sconosciuti di intercedere con una preghiera per la loro salute. Fantin ha quindi coinvolto un artista ceco (Martin Zet) chiedendogli di leggere, in inglese e nella lingua madre, il testo di presentazione dell’esperimento riportato in un santino. Per più di un’ora, sotto gli occhi dei visitatori, il performer in posizione di preghiera leggendo i testi ha creato circuito ellittico rendendo spirituale un dato scientifico a sua volta il risultato di un atto di fede. Uno sconfinamento e  la presentazione di ambiguità tra privato e pubblico, tra scienza e fede, ci mostra nuove possibili connessioni, piene di conseguenze, tra gli esseri umani.


Casaluce/Geiger-synusi@

Per Roaming l ‘artista viennese ha esteso la riflessione sul concetto di multiidentità al rapporto con la casa nell’epoca contemporanea. Una casa che non si ferma alle classiche strutture che la compongono ma che sempre più ha nuove stanze nel mondo virtuale dove si creano nuove sfaccettate identità.

La sua installazione è composta da centinaia di foto sparse in tutti gli angoli della casa, piena di oggetti che frequentano il nostro vivere quotidiano. Tutte cose che provengono da amici, dalla stessa artista e dalla sua famiglia, in una commistione di identità, tale per cui diventa impossibile comprendere dove inizia l’una e finisce l’altra. Ma se noi siamo nell’epoca dell’io costruito dagli oggetti che possediamo,  c’è chi come i clochard, persone che non hanno casa o oggetti, è privo di identità presso di noi.

Questa contraddizione si rivela attraverso la foto di un clochard, un uomo abbattuto, seduto sul ciglio della strada, inserita nella cornice antica dello specchio del bagno, al posto del vetro riflettente, forse a riflettere più di quanto noi desideriamo. Una piccola ombra, un segno  dell’esistenza di queste figure considerate marginali,  invisibili; un omaggio dell’artista  nell’impossibilità, in questo frangente, di fare altro.

Il progetto di Casaluce  La mia casa multidi/identitaria cyborg è la prima tappa di un progetto più ampio che riguarda  la casa e l’abitare come componenti essenziali dell’identità.


Franco Hüller

Franco Huller, fotografo, pittore e performer, per Roaming ha presentato un’azione coinvolgendo 20 persone tra donne, bambini e uomini. Questi, confusi tra i fruitori, avevano il compito di portare “l’amore nell’aria”. Tutti i performer indossavano un particolare profumo primaverile e sorridevano ai visitatori quando ne incrociavano lo sguardo. Un momento di accoglienza, il tentativo di far circolare un’energia positiva, intesa a dare un sentimento di familiarità alle persone presenti all’evento.


Eva Koťátková

La ricerca di Eva Koťátková è incentrata sull’abitare; riflessione in cui rientra anche il corpo umano come nostro primo edificio esistenziale.

Per Roaming l’artista ha presentato tre manifesti, feticci di molte camere da letto. Nel primo poster, sfondo bianco con scritta nera,  l’artista propone una riflessione sulla casa ideale. Gli altri due manifesti, sfondo nero con scritta bianca, vanno a  formare un’unica installazione, appesi nelle due facce del muro  di divisione di due stanze attigue. Allo spettatore è richiesto di ricomporre la trascrizione di un dialogo  tra la Koťátková e un vicino di casa sull’idea di casa e sul modo in cui sono  vissute  e percepite le stanze che la compongono.

Il visitatore si trova a leggere sul primo manifesto, le parti di dialogo riferite all’artista epurate dalle frasi di risposta del suo interlocutore.  Una frammentazione che si ricompone solo nella stanza opposta dove un altro manifesto, posizionato specularmente al primo, riporta questa volta solo le frasi della Koťátková.

Una frammentazione del vivere e del dialogare con gli spazi e con gli altri


Dominik Lang

Dominik Lang gioca sull’ambiguità degli spazi e sulla percezione che noi abbiamo di essi.  Nel lavoro site specific proposto per Roaming ha trasformato l’intera superficie di un appartamento in una gabbia per criceto, piena di ogni “comfort” che noi “umani” pensiamo debba  avere  il piccolo animale domestico. Dal tubo di cartone, per tenerlo in allenamento, alla paglia, ai giochi, fino alla casetta composta da scatole vuote di alimenti per umani in cui nascondere il proprio cibo. Mancava il piccolo mammifero ma il visitatore si trova a ripercorrere l’intero percorso-gioco del criceto. Uno spazio estraneo all’uomo. L’inquietudine e l’ambiguità su chi e cosa è il vero abitante della casa investe il visitatore ,costretto velocemente ad andarsene.


Daniela Manzolli

Nascosti dietro alle porte o sotto i termosifoni si trovavano gli alveari- sculture di Daniela Manzolli, parti di un’installazione più complessa del progetto Cera a perdere composta anche da una video-installazione, qui non presente.

Gli alveari costruiti da femmine operaie, create in forme geometriche perfette e quelli delle api-maschi dalla forma più bombata sono presenti in anfratti della casa: una casa dentro la casa. Veri alveari di cera che l’artista ha fatto fondere in ottone con la tecnica della microfusione lasciando ancora visibili i segmenti dell’armatura della fusione da cui la cera è fuoriuscita.

Da anni l’artista riflette sui codici di comunicazione e sulle comunità che usano questi codici, siano essi esseri umani o animali, presi come confronto e come modello per le attività umane. In questo caso la Manzolli trasforma in una scultura monumentale la casa abbandonata delle api, celebrando e conservando il loro lavoro in una forma di rispetto per queste artiste della cera.


Eugenio Percossi

Nelle due installazioni dell’artista ceco-italiano, che interagiscono tra loro, viene mostrato il lato buio della nostra vita, il senso di disagio esistenziale attraverso la transitorietà che si insinua in noi e negli oggetti di cui ci circondiamo. 

La prima installazione, Self portrait, è composta da tre lavori in plastilina, collocati a terra a ricostruire un ipotetico salotto con il divano, il televisore e il telecomando. In Time, una vecchia scopa appoggiata alla parete è lasciata in attesa del ritorno del padrone padrone di casa per raccogliere ciò che ha spazzato: polvere e mosche morte. Una sorta di inquietudine prende il visitatore: la casa è pronta per essere definitivamente lasciata o ci troviamo di fronte ai preparativi per l’appropriazione dell’abitazione?


Marco Raparelli

Nella video animazione Sofa di Marco Raparelli, proiettata a  parete 1:1, si ha un gioco di specchi : un uomo qualunque, magro seduto su un divano ci guarda mentre noi guardiamo lui,  siamo noi a essere il suo spettacolo mentre lui è il nostro.  Spettacolo che forse non lo avvince abbastanza, infatti l’uomo, con una bibita in mano, ci osserva distratto, si gratta, si muove annoiato. Si beffa dello spettatore che lo guarda in attesa di un gesto rivelatore, di un’azione significativa, che non accadrà mai. Lui è noi nel nostro essere passivi davanti alle immagini che ci propongono i vari spettacoli televisivi, il nostro essere qualunque.


Luca Scarabelli

Per questo appuntamento Luca Scarabelli, oltre che l’ormai abituale Ghost 370 gr. (la sfera di marmo bianco che Alessandro Castiglioni presenta ai suoi amici o a chi vuole lui, durante l'allestimento o l'inaugurazione della mostra) presentata con la variazione dell’alias (quando Alessandro Castiglioni non è presente fisicamente nell'unico giorno della mostra di Roaming ma c'è Ghost da presentare agli amici, è sostituito da una persona scelta a caso nel gruppo dei presenti, ma è sempre lui che si impossessa medianicamente del corpo del prescelto), presenta una calibrata e minima presenza all’interno delle stanze a lui assegnate. Microinterventi e cose a terra, in basso, da guardare o meglio da cogliere con l’appercezione dall’alto. Come la pagina della rivista scientifica inserita tra pavimento e muro ( idem il libro di Vegetali Ignoti, una sottile presenza autobiografica) che ci dice poco più di quello che è, con un enigmatico buco sull’immagine delle stelle, o il paesaggio sui generis, minimale e decorativo realizzato con la carta da parati, percorso da una miriade di punti tanti come i pezzi del puzzle che, sempre a terra, forma un mucchietto dai toni azzurri. Il puzzle, momento perfetto di ricostruzione di una realtà inutile, porta con sé una mancanza, una tessera assente che non ne permetterà la conclusione. Ancora una volta un “paesaggio” in divenire incompleto, come il ritratto di un curatore fantasma.


Annalisa Sonzogni


Anna Maria Tina

La ricerca di Anna Maria Tina si basa sul tema della comunicazione e sul tentativo di misurarsi con la realtà. Per Roaming, l’artista ha presentato un’installazione sonora dal titolo ironico A true Conversation.  Composta da due casse di un mini stereo casalingo, poste l’una di fronte all’altra, da cui  si assiste a  uno straniante tentativo di conversazione tra l’architetto Le Corbusier  e un cane. I due attori della scena, rappresentati anche da due foto a parete dell’architetto e di un cane qualsiasi, rappresentano lo scontrarsi degli ideali con la realtà. Nella conversazione  il teorico del Modulor illustrava la sua teoria poetica di  casa perfetta e quindi di un vivere quotidiano ideale, e razionale a rispondergli  vi era l’abbaiare di un cane. Questi, compagno  per eccellenza del nostro vivere quotidiano, rappresenta la componente più irrazionale del nostro ambiente domestico, ma anche l’impossibilità del comunicare e della irrealizzabilità delle idee di perfezione dell’architetto.


Martin Zet

Artista impegnato socialmente, si potrebbe definire un art-tivista politico, Martin Zet lavora con qualsiasi materiale e linguaggio, preferendo quello mediatico che decostruisce con ironia graffiante. Per Roaming l’artista ha presentato l’azione performativa Bannerman. L’uomo-insegna Zet si  è appropriato della casa a lui destinata con un carrellino pieno degli strumenti del “Bannerman-artista”: un mantello di tipo messicano con la scritta General Artist Strike 2012;  due triangoli di ferro composti da mani che tengono in pugno un pennello; un cappello messicano. Indossata la sua “uniforme” e presi gli attrezzi di lavoro, il “Bannerman” ha urlato, cercando di trascinare con sé il pubblico presente, un grido di fiducia  parafrasando l’inno di resistenza honduregno: “PUEBLO, AMIGO, MARTIN ZET ESTÁN CONTIGO!”

Conscio dell’impossibilità degli artisti di realizzare qualche cosa di importante socialmente, e consapevole di come tutto possa essere strumentalizzato (non a caso la scelta di fare pubblicità a un evento utopistico è ricaduta sulla prima forma pubblicitaria) Martin Zet ha presentato l’artista e se stesso nel doppio ruolo di resistente politico e in qualche modo di eroe, sapendo di essere destinato a fallire nel suo proposito.

Per il 2012 Martin Zet ha previsto lo sciopero generale degli artisti. Io ci sarò!