Name Diffusion - Marion Baruch

"Name Diffusion sviluppava dei progetti partecipativi e proponeva un approccio collettivo alla creazione, basato su incontri e scambi. Un marchio generico che, all’interno del contesto dell’arte –sempre contrassegnato e convalidato da una firma o da un’autorialità – solleva la questione dell’attribuzione opponendo a questa un concetto di astrazione. Name Diffusion viene invitata ad esempio alla collettiva “Business Art Business”, tenutasi nel 1993 al Museo Gröningen, in Olanda, presentando una sorta di showroom con i propri articoli esposti su degli appendiabiti. Ricordo ancora il catalogo, mimava una scatola di pizza stampata in nero e argento e conteneva dei cataloghi individuali tutti diversi tra loro, uno per ogni gruppo di artisti. In effetti, ritorno a firmare i miei progetti relazionali con il mio nome intorno al 2009 a Parigi, organizzando delle vere e proprie spedizioni nel Sentier, con persone d’etnie e nazionalità diverse. La collecte des chûtes e Parischûtes erano azioni collettive in cui i partecipanti raccoglievano scarti di stoffa dalla poubelle [pattumiera] o che erano ammassati sui marciapiedi per comporre poi oggetti tessili unici, intrecciando, annodando, assemblando in diversi modi i tessuti raccolti. Una sorta d’arte urbana “inorganica”, come venne definita al tempo. Più in generale, si trattava di attività legate a questioni di mobilità, di globalizzazione migratoria, d’esilio, in cui ogni partecipante trovava il proprio specifico ruolo. E ancora, Bordercartograph, La Fête des Langues, Displacement_for, Le jeu du Tapis Volant (in collaborazione con Arben Iljazi e Myriam Rambach), Bibliomail ecc. – tutte opere partecipative, laboratori, atelier, che incomincio a sviluppare già intorno al 2002. In molti casi si trattava di mettere in relazione anche pratiche artistiche e culturali."

Da: Intervista a Marion Baruch, di Rita Selvaggio, Flash Art, Gennaio 2018